© foto Garbani

Emma Piffaretti, giovane promessa dell’atletica svizzera, si racconta e ci spiega come riesce a conciliare studi e agonismo.

Medaglia d’argento ai Campionati Europei U18 nel 2018 e detentrice del record svizzero U18 e U20 nel salto in lungo, sarà impegnata in questo fine settimana nei Campionati Europei U20 a Tallin, pronti a tifare per lei?

L’intervista è stata rilasciata ad aprile 2021 e rivista nella prima metà di luglio 2021.

Buona lettura!

Buongiorno Emma, potresti presentarti ai nostri runner?

Sono Emma, ho 19 anni, ho appena concluso con successo la maturità presso il Liceo diocesano. Il vescovo che era presente alla cerimonia di chiusura ci ha detto che maturità e mattino, in latino, hanno la stessa radice… e quindi di parallello in parallello sono al mattino della mia vita. Un nuovo percorso da disegnare proprio come alla mattina c’è una giornata che va affrontata e disegnata. In questo nuovo giorno vedo tanto sport, viaggi, studi e occasioni per arricchirmi sportivamente, a livello della formazione e in generale come persona. Sui piani precisi vorrei lasciar che, per il momento, tutto sia ancora avvolto nel mistero. So per certo che ovunque sarò porterò la bella energia che mi ha dato il fatto di crescere in Ticino, con me.

Quando ti sei avvicinata all’atletica?

L’atletica è entrata nella mia vita un po’ per caso anche se in casa si respirava già aria di sport. In terza elementare, quando avevo nove anni, volevo partecipare a tutti i costi al “Ragazzo più veloce del Mendrisiotto”, una manifestazione aperta a tutti i bambini di una certa fascia di età. Mi sono quindi iscritta a un’associazione sportiva di atletica un mese prima dell’evento per prepararmi a questa competizione. Da questo momento non ho più lasciato l’atletica.

Quando ti sei tesserata presso US Ascona?

È stato nel 2018 tra fine febbraio e inizio marzo, mi sono sempre sentita a casa in questa società. In passato, grazie all’invito della famiglia Vetterli ho avuto la possibilità di fare alcuni campi estivi assieme ai figli e alla società, erano stati tutti molto accoglienti, simpatici e l’atmosfera tra atleti mi piaceva molto. Quando è sorta l’esigenza di cambiare è stato automatico: “mi piace molto la loro filosofia e quindi vorrei entrare nel loro club”. Anche l’accoglienza e oggi il trattamento che mi riservano è veramente ottimo.

Quando dicevi che in casa si respirava già aria di sport, cosa intendevi?

Mia mamma faceva atletica, ma non l’ho mai vista gareggiare. Probabilmente c’è stata un’influenza inconscia, ma l’idea di partecipare al “Ragazzo più veloce del Mendrisiotto” è nata da un mio desiderio, oltre al fatto che era una manifestazione promossa anche alle scuole elementari. Durante le lezioni di ginnastica si correva, e, se un ragazzo era particolarmente veloce, poteva accadere che il maestro dicesse “magari potresti provare a partecipare al Ragazzo più veloce”. Questo mio desiderio di entrare nel mondo dell’atletica è quindi più legato all’ambiente esterno che a un’influenza casalinga.

Qual è la tua disciplina?

Adoro il salto lungo, la velocità e il salto agli ostacoli.  Considero l’eptathlon una disciplina complementare formidabile e una scuola per esplorare diverse discipline e per variare. Molte discipline nell’atletica hanno un legame tra loro. Al primo posto c’è però il salto in lungo, seguono, lo sprint e gli ostacoli.

Continuerai con l’eptathlon o ti concentrerai su queste discipline?

Mi dedicherò sempre di più a queste tre discipline, in particolare allo sprint e al salto in lungo.

Ti alleni in Ticino o in Svizzera interna?

Dipende dal periodo, ora che non sono più legata alla scuola sono in Svizzera romanda.

Quando sono arrivati i primi successi e quando hai deciso di intraprendere la strada dell’agonismo?

Quando ho iniziato atletica, ho deciso da subito di impegnarmi in quello che stavo facendo. I piccoli e grandi risultati sono stati la ricompensa e la motivazione per continuare a gareggiare e ad allenarmi.

C’è stata una vittoria o una gara in particolare che ti ha motivato a continuare nell’atletica?

Ero e sono tuttora spinta da grande motivazione e grande passione. Se devo pensare a una vittoria o a un momento particolare che mi ha motivata ulteriormente, ricordo il periodo tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, quando ho fatto la mia prima esperienza con la nazionale U18 e ho vinto la mia prima medaglia a livello internazionale (argento nel salto lungo, ai Campionati europei in Ungheria nel 2018, n.d.r.). Questa vittoria e l’esperienza di rappresentare la Svizzera e il Ticino è stata bellissima, sono esperienze che danno un’emozione indescrivibile.

Complimenti, si trattava anche di un’esperienza individuale…

Individuale ma direi anche collettiva, nel gruppo con cui sono andata in Ungheria eravamo molto uniti. È stato uno sforzo individuale ma allo stesso di gruppo.

C’erano anche altri atleti ticinesi?

Eravamo in 4: Tessa Tedeschi, Mara Moser, Christian Reboldi ed io.

Hai incontrato delle difficoltà?

Più che difficoltà direi che è stato importante far chiarezza con me stessa e con gli altri, intesi come scuola, musica, ecc. Volevo infatti dedicare del tempo di qualità all’atletica. Già in quinta elementare, l’atletica per me rivestiva un ruolo importante e non sempre questo aspetto veniva colto. Successivamente, sono sempre riuscita a conciliare scuola e sport nelle migliori condizioni.

C’è qualche altro evento che ti ha colpito?

Lo sport, l’atletica è un arcobaleno di emozioni e tutto diventa una sensazione indescrivibile. Tra le lezioni più interessanti c’è per me la nozione del fairplay.

Ci sono dei ricordi legati al fairplay?

Sì, certo. Quando avevo 11/12 anni, stavo partecipando a una competizione ed era caldissimo. Il tartan bruciava talmente era caldo. Ero ai blocchetti di partenza, ma non riuscivo a tenere appoggiate le mani e le ginocchia a terra da quanto era caldo. Ad un certo punto, un allenatore si è avvicinato con una borraccia e mi ha detto: “alzati veloce” e ha spruzzato acqua nei punti specifici di appoggio sul tartan e poi ha detto: “adesso puoi andare”. Non avevo capito subito cosa stesse accadendo, ma poi ho detto: “ma Grazie, che gentile!” (ride, n.d.r.). Questo gesto mi ha salvata, mi ha semplificato la gara: riuscivo ad appoggiarmi a terra allo starting block! A colpire è il fatto che lui non fosse il mio allenatore né facesse parte della mia società. Era pure fairplay. Voleva che fossi nelle migliori condizioni per fare un bel risultato. È un episodio che porterò sempre con me.

La seconda e ultima parte dell’intervista sarà pubblicata nella seconda metà di agosto.